Che i cani fossero animali estremamente intelligenti non c’era bisogno che ce lo ricordasse l’ennesima ricerca scientifica. Eppure leggere nero su bianco che gli scimpanzé, capaci di eseguire con successo assurdi test della memoria, imparare parole e numeri, maneggiare utensili, non siano in grado di interpretare i gesti e le espressioni di noi umani mentre i cani sì, ci lascia non poco sorpresi.

Sembra che questo insolito talento dei nostri amici a quattro zampe sia maturato grazie alla coabitazione. Mentre infatti gli animali con il Dna più simile al nostro se ne stavano per i fatti loro, i cani, vivendo sempre accanto a noi, sono diventati davvero i nostri migliori amici e hanno imparato a conoscerci, capirci e manipolarci.
Sono state due pubblicazioni, uscite nell’ultima settimana negli Stati Uniti, ad aver gettato nuova luce sul modo in cui i cani comprendono, osservano e reagiscono ai nostri comportamenti, ed è interessante che lo abbiano fatto da due punti di partenza diversi.
L’esperta in scienze cognitive Alexandra Horowitz, nel suo libro ancora non tradotto in Italia, Visto da un cane: quel che un cane vede, fiuta e conosce, parte dalla biologia per arrivare alla conclusione che «i cani sono attenti osservatori delle nostre reazioni» e che «sebbene abbiano ereditato una certa avversione a fissare negli occhi, sembrano predisposti a scrutare i nostri visi per avere indicazioni, rassicurazione, guida».

L’antropologo evoluzionista della Duke University Brian Hare, autore di una ricerca pubblicata da Time Magazine, ha preso invece le mosse dalla prova empirica. Lo studioso ha eseguito un test su oltre un migliaio di cani; il test consisteva in questo: dopo aver fatto annusare ai cani un biscotto, Hare lo nascondeva sotto un bicchiere di carta capovolto, mettendone due uguali a poca distanza l’uno dall’altro. Il cane non poteva aver visto dov’era il biscotto, ma quando l’antropologo puntava l’indice verso un bicchiere, senza esitazioni il cane si dirigeva verso il contenitore che gli era stato suggerito. Sono pochissimi i cani che non seguono l’indicazione e questo, per Hare, è ancora più sorprendente se si considera che né i lupi, dai quali i cani discendono, né gli scimpanzé, sono in grado di fare altrettanto. Per l’antropologo si tratta di un’abilità acquisita quando cominciò l’addomesticamento: i cani in grado di capire i gesti degli umani conquistavano più cibo come ricompensa.
Nel corso del tempo, argomenta l’antropologo, «l’intelligenza sociale dei cani divenne simile alla nostra in modo inquietante e non solo nella loro capacità di seguire un dito puntato, ma anche nel commettere lo stesso tipo di errori di valutazione che facciamo noi».

Il libro della Horowitz cerca di mettersi nei panni di un cane. Prendete la vista: l’occhio del cane è in grado di catturare le variazioni di luce con una velocità di gran lunga maggiore del nostro e ciò fa sì che «la sua visione del mondo sia più rapida, poiché per ogni secondo riesce a catturare più immagini». Il risultato di ciò nel rapporto con noi è che «i cani riescono a prestare attenzione anche ai brevissimi intervalli dei nostri ammiccamenti» e quindi reagiscono meglio alle più lievi variazioni della nostra mimica facciale. Proprio in ragione di questo la Horowitz non si stanca di ripetere che non è necessario impartire ordini con voce perentoria o punizioni per ottenere quel che si vuole, perché così come i lupi, anche i discendenti addomesticati sono in grado di imparare dall’esempio.