Oltre a quello della piccola Natasha, bambina siberiana allevata da cani e gatti, sono stati dodici i casi, accertati nel secolo scorso, di cuccioli d’uomo allevati dai lupi, e molti altri quelli in cui a prendersi cura di loro sono state delle scimmie.

Il più famoso è quello del piccolo trovato in mezzo a un branco di lupi in India nel 1941, che scappava appena vedeva un essere umano. Ma c’è anche il caso, più recente (2004), di Andrej, abbandonato dai genitori e allevato dal cane di casa, di nuovo in Siberia, o quello della dodicenne ritrovata, nel 2006, nella giungla in Thailandia: saltava da un albero a un altro e mangiava come le scimmie.

E ricordate, poi, il bimbo russo che viveva a Kirovskiy (Volgograd) con la madre 31enne, così piena di attenzioni verso gli uccellini di casa da dimenticare di parlare col figlio? Quando il fatto è venuto alla luce, lo scorso anno, il piccolo cinguettava e imitava le ali degli uccelli con le braccia.

Comportamenti diversi, per la nostra “normalità” addirittura aberranti, ma naturali per un bambino che cresce avendo gli animali come unico punto di riferimento da cui imparare a sopravvivere.

“Se il bimbo si accorge che con un determinato vocalizzo ottiene l’attenzione di chi lo accudisce – spiega Laura Beani, docente di etologia all’Università di Firenze –  lo usa. E se per riuscirci c’è bisogno di miagolare, lo fa. La stessa cosa avviene con il pappagallo che impara a parlare».

L’istinto, in ogni caso, nel vedere un bambino camminare come se avesse quattro zampe o cercare di librarsi in volo, leccare una ciotola o emettere suoni al posto delle parole, è quello di fare subito qualcosa per riportarlo appunto, alla nostra “normalità”. Peccato, però, che questa non corrisponda affatto alla sua: “il bambino nasce con una predisposizione ad acquisire informazioni e il contenuto dipende dall’ambiente – sottolinea Marco Baranello, psicologo fondatore della Psicologia Emotocognitiva – se cresce in un contesto di deprivazione sociale il bambino sta bene, ma a livello della socialità di riferimento troverà dei problemi, non avrà gli strumenti per far parte del contesto sociale. Dovrà essere rieducato ad utilizzare i processi fisiologici. Ma non esiste il trauma, quello lo vediamo noi, rispetto alle nostre aspettative sociali”. (B.P.)