Non solo i pappagalli, ma anche una serie di altri uccelli hanno il “dono della parola”, come le gazze e merli indiani. I più abili parlatori restano comunque i pappagalli cenerini insieme ai grandi Ara, ma tutti riescono a riprodurre con discreta facilità numerosissime consonanti e vocali umane a causa dell’assonanza di queste con alcune delle “sillabe” che utilizzano naturalmente.
Nonostante questa loro particolare abilità, in natura non risulta che gli uccelli imitino i suoni o i versi degli altri animali, tanto da far ritenere agli studiosi che il farlo, in cattività, sia sinonimo di richiesta di attenzione e di dimostrazione di affetto. Quando chiacchierano, cantano o ripetono quello che ci sentono dire, noi ridiamo, ci avviciniamo a loro, chiediamo di ripetere, li accarezziamo. Tutte cose che questi animali apprezzano particolarmente, anzi, che ricercano: sono animali estremamente socievoli e si affezionano al loro compagno umano alla stregua di un cane. Con una fondamentale differenza: il rapporto che si crea con un uccello è sempre di interazione, non di dipendenza. Se non diamo loro le attenzioni di cui hanno bisogno, sono anche capaci di offendersi o prenderci in giro: li avete mai visti imitare il suono del telefono o del citofono, solo per il gusto di vederci correre a rispondere? (B.P.)