Scrittore e saggista esperto di Letteratura Italiana contemporanea, Andrea Giardina è l’autore di questo testo di recentissima pubblicazione, il cui obiettivo è quello di raccogliere scrupolosamente e raccontare le immagini del cane che la scena letteraria, italiana ma non solo, ci ha consegnato nell’ultimo secolo.
Sono effettivamente pochissimi gli autori nostrani che non hanno pagato un tributo alla “caninità”; da Tomasi di Lampedusa a Calvino, da Montale a Lodoli, da Pirandello a Carlo Levi (per non citare scrittori stranieri come Thomas Mann, Bulgakov, Rilke o grandi autori del passato da Omero a Jack London). L’amico dell’uomo rappresenta insomma uno degli architravi della nostra letteratura contemporanea, cosa che potevamo forse sospettare e immaginare, ma che il testo di Giardina documenta con perizia, sollecitando importanti riflessioni.
Il numero di autori chiamati in causa è elevatissimo e le tracce della “presenza canina” nelle loro opere è organizzata, in modo originale e intelligente, per tematiche: “il cane e la morte”, “L’unico che mi abbia capito bene”, I luoghi dell’istinto”, solo per citarne alcuni.
Banditi i toni pietistici e buonisti, il ruolo del cane nella letteratura contemporanea è registrato nelle sue forti oscillazioni e identificato con precisione. Non solo amico fraterno, fedele e affettuoso, confidente silenzioso e simbolo di purezza, ma anche carattere aggressivo, ringhioso e violento, simbolo dell’“altro” che va escluso, circoscritto, marginalizzato per affermare e proteggere la propria identità. Da un lato troviamo i discendenti dell’archetipica figura di Argo, fedelissimo cane di Ulisse, dall’altro la metafora canina usata da Primo Levi per descrivere la brutalità del lager; da un lato Bendicò, amorevole, quasi patetico cane del Principe di Salina nel Gattopardo, dall’altra l’infernale Cerbero.
Insomma il cane è l’unico tra gli “animali letterari” ad opporre il ruolo di amico caloroso e fidato a quello di “sicario”, parassita opportunista e inaffidabile. Le irruzioni dei cani nella narrativa e nella poesia aprono perciò luoghi di esperimenti, dove si possono mettere alla prova emozioni elementari e insondabili percezioni, paure e difetti.
Nella letteratura contemporanea scrivere sul cane è senz’altro una strategia per riflettere sul sé e sull’“altro”, ma con una specificità ulteriore. Perché la letteratura, complici le sollecitazioni della zooantropologia e dell’etologia, racconta il rapporto tra l’uomo e il cane in un’ottica in cui l’umano ha subito un fortissimo decentramento, in cui i confini tra natura e cultura chiedono di essere ridefiniti, in cui gli stessi confini di specie si dimostrano estremamente porosi. Ecco allora che piuttosto che un “quasi-uomo”, il cane appare un “compagno di specie”, come afferma Asor Rosa in un importante testo del 2005 (Storie di animali e di altri viventi), testo chiamato direttamente in causa dal nostro autore. E prprio alla sua Cana narratrice, Asor Rosa fa dire: «Quel che io porto agli umani non è l’essere simili a loro: è piuttosto la zona d’ombra in cui non c’è né umano né animale, bensì le due cose confuse insieme». (G.M.)